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Anche l’alimentazione può aiutare la fertilità!

Un articolo della Dott.ssa Benedetta Paoletti

Nelle giovani coppie si osservano di frequente problematiche di infertilità. In alcuni casi, vengono diagnosticate patologie specifiche che possono ostacolare il concepimento (endometriosi, varicocele…). In altre coppie, invece, non si osserva nessuna problematica specifica e la difficoltà di concepimento può essere attribuita ad uno stile di vita non corretto e al concorso di fattori ambientali come il fumo, lo stress e l’alimentazione sbilanciata.

Uno studio di recente pubblicazione, sul prestigioso Journal of Nutrition, conferma ed approfondisce quello che altri ricercatori avevano cominciato ad indagare, non limitandosi alla PCOS (sindrome dell’ovaio policistico) ma ampliando il discorso alla fertilità femminile nel suo complesso. Il team di ricercatori che ha condotto lo studio fa capo alla dottoressa Jean Wactawski-Wende, che negli anni ha pubblicato molte altre ricerche relative all’influenza che il cibo può avere sulla regolarità mestruale e sulla fertilità delle donne.

Proviamo a capire meglio ciò che è emerso dal suddetto studio:

Analizzando le abitudini alimentari di 259 donne in età fertile (età media 27 anni), sono state trovate associazioni tra il consumo di latticini, le concentrazioni di ormoni nel sangue e il tasso di ovulazione.Per “latticini” lo studio ha inteso qualsiasi tipo di prodotto caseario: latte (intero e scremato), formaggi, panna, yogurt e creme derivate da questi prodotti (come ad esempio il gelato).

I risultati sono stati estremamente interessanti, e si possono sintetizzare in tre punti:


– I ricercatori hanno registrato una diminuzione del 5% dei livelli sierici di estrogeni per ciascuna porzione di latte e latticini, sia magri che interi; tuttavia, questo fattore non sembra influenzare l’ovulazione. Se ne ricava che il consumo di qualsiasi tipo di latte e derivato del latte potrebbe essere controindicato per quelle donne che hanno bassi livelli di estrogeni nel sangue (condizione frequente in caso di amenorrea, ossia assenza del ciclo mestruale), poiché i livelli si abbasserebbero ulteriormente per ogni porzione consumata.

Il consumo di yogurt, di panna e di derivati dalla panna (ad esempio alcuni gusti di gelato, come il fiordilatte, e dolci come bavaresi e semifreddi) sembrerebbeinvece direttamente associato ad un maggiore rischio di cicli anovulatori. Per cui se si cerca una gravidanza sapendo di non ovulare tutti i mesi, escludere temporaneamente dalla dieta lo yogurt e la panna potrebbeincrementare le possibilitàdi concepimento.

I latticini ricchi di grassi (come ad esempio panna, mascarpone, mozzarella e formaggi grassi) sono associati ad una maggiore concentrazione di ormone luteinizzante (LH) nel sangue. Pertanto, chi soffre di un disequilibrio ormonale per il quale i livelli di LH sono eccessivamente elevati sarebbe conveniente eliminare prodotti caseari ad elevato contenuto lipidico; occorre sottolineare che l’eccesso di LH comporta problemi di ovulazione: normalmente LH dovrebbe essere inferiore rispetto a FSH (a parte in determinati giorni del ciclo a ridosso dell’ovulazione). Viceversa, se il problema è di insufficienza luteale i latticini grassi possono venire in aiuto (purché da allevamenti non intensivi).

Il team di ricercatori ha trovato correlazioni molto interessanti tra fertilità, abitudini alimentari ed LPD ( si definisce come deficit di fase luteale LPD la problematica che implica una durata della fase inferiore ai 10 giorni, e che si associa ad un picco del progesterone inferiore a 10 ng/ml. La fase luteale va dal giorno dell’ovulazione al ciclo: normalmente dovrebbe durare 14 giorni. Infatti, su un ciclo regolare di 28 giorni l’ovulazione avviene al 14° giorno). Di seguito una sintesi di tali correlazioni:

Il consumo di grassi, in particolare monoinsaturi (di cui è ricco ad esempio l’ olio extravergine d’oliva), è correlato ad una fase luteale più lunga, e pertanto a maggiore fertilità: le donne con LPD consumavano mediamente 56 g di grassi al giorno, contro i 62 g di donne con fase luteale normale (il quantitativo salutare si assesta quindi intorno ai 0.8-1.2 g/kg di peso corporeo). Non sembrano esserci correlazioni, invece, con il consumo di omega3.

Le donne con fase luteale fisiologica, superiore ai 10 giorni, registrano un introito maggiore di proteine animali, sebbene abbastanza esiguo (parliamo di circa 3 grammi di proteine animali in più, come media), ed un consumo di carboidrati inferiore rispetto alle donne con LPD (una media di 195 g/giorno contro i 212 g/giorni di chi ha un ciclo caratterizzato da fase luteale breve).

Dato estremamente interessante: le donne con una fase luteale breve hanno un consumo doppio di isoflavoni, provenienti da soia, semi di lino, leguminose e fibra vegetale; gli isoflavoni sono ormoni vegetali che, in grandi quantità e consumati con una discreta frequenza, interferiscono negativamente con l’equilibrio endocrino di noi donne. Attenzione dunque all’uso troppo frequente di soia, alimento che, tra tutti, è il più ricco di isoflavoni: se può essere utile a donne in premenopausa, sembra esserlo molto meno in donne in età fertile!

E’ risultato che il consumo di caffeina (circa 2-3 espressi al giorno, quindi non un consumo smodato) è associato ad una ridotta concentrazione di estradiolo (l’ormone della fertilità per eccellenza), concentrazioni che risultano invece aumentate quando si beve almeno una tazza di tè verde algiorno (240 ml).

I cicli anovulatori sono correlati anche a scarso apporto di folati: questo importantissimo componente alimentare, essenziale soprattutto per la salute delle donne, sembra essere direttamente proporzionale alla produzione di progesterone (ormone pro-gestazione) e al picco di LH indispensabile all’avvenimento dell’ovulazione stessa, e quindi a determinare la fertilità di una donna. Si consiglia a donne dai frequenti cicli anovulatori o nelle quali sia stata rilevata carenza di progesterone di incrementare il consumo di alimenti ricchi di acido folico (vegetali a foglia verde come spinaci e catalogna, avocado, fragole e asparagi), ed eventualmente di integrare opportunamente attraverso supplementazioni ad elevata biodisponibilità.

In conclusione…

Le indicazioni alimentari che più si rivelano alleate della fertilità femminile, anche su donne giovani e senza diagnosi di patologia, sono le seguenti:

  • Ridurre o eliminare latte e derivati, in particolare se vi è la certezza di avere un rapporto inverso LH/FSH, cicli anovulatori o oligomenorrea. Se invece è presente un deficit di fase luteale, piccole porzioni di latticini grassi provenienti da allevamenti non intensivi possono aiutare: ghee o burro chiarificato, panna e quark intero biodinamici o biologici, ricotta di pecora o capra.

  • Non escludere completamente le proteine animali dalla propria dieta: se non si volesse consumare carne, non eliminare pesce e uova (purché si tratti di uova biologiche da galline razzolanti, e pesce proveniente dal Mar Mediterraneo).

  • Valutare l’intake di carboidrati e, qualora risultasse eccessivo e non si facesse sport, ridurre le porzioni e la frequenza di alimenti glucidici (cereali, pasta, pane, patate, ma anche frutta e dolci).

  • Ridurre o eliminare il caffè, sostituendolo con una tazza di tè verde al giorno. Il tè verde deve essere di buona qualità (a foglie biologico) e non consumato in eccesso se si soffre di pressione bassa.

  • Aumentare l’introito di alimenti ricchi di folati (vegetali a foglia verde come spinaci e catalogna, avocado, fragole e asparagi).

  • Evitare di consumare soia e derivati; non abusare di alimenti ricchi di isoflavoni vegetali, come legumi e semi di lino.

Bibliografia
– Kim K, Wactawski-Wende J, Michels KA, Plowden TC, Chalijub EN, Sjaarda LA, Mumford SL – 
Dairy food intake is associated with reproductive hormones and sporadic anovulation among healthy premenopausal women – J Nutr 2017 Feb;147(2):218-226

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Schliep KC, Schhisterman EF, Mumford SL, Pollack AZ, Zhang C, Ye A, Standford JB, Hammoud AO, Porucznik CA, Wactawski-Wende J – Caffeinated beverage intake and reproductive hormones among premonopausal women in the BioCycle Study – Am J Clin Nutr 2012 Feb;95(2):488-97

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